L’uomo moderno tra amore e essere

 

“Shining” (1980) si presta a molteplici letture: quella psicoanalitica, pur non esaurendo il gioco delle interpretazioni, è però centrale e può essere proposta a partire dal pensiero del Freud maturo, quello che tra il 1913 e il 1922 approda ad una concezione sintetica e unitaria del funzionamento della psiche.

 

Più precisamente il film si basa:

  1. sui principali concetti trattati nel “Perturbante” (1919);
  2. sulla seconda topica descritta nell’ “Io e l’Es” (1922);
  3. sulla teoria della scena primaria sviluppata nel caso clinico “l’Uomo dei Lupi”(1914);
  4. sulla frequente citazione di fiabe, con rimando a “Materiale fiabesco nei Sogni” (1913).

 

In “Shining”, tutti i personaggi sono in balia delle loro pulsioni inconsce, tutti impossibilitati a trovar forza e rifugio nella coscienza. Una condizione massimamente evidente nel protagonista: Jack è condannato a subire il conflitto insanabile tra le opposte richieste del suo Es e del suo Super-io

 

Ma Jack non è il solo ad essere preda di forze fantasmatiche e pulsionali. Nel teatro freudiano riprodotto da Kubrick, ciascun personaggio è:

  1. scritto (Jack) o parlato da altre voci (Danny da Tony, Dick da Danny, ecc.);
  2. eterodiretto da vissuti infantili;
  3. assoggettato ad un padrone invisibile.

 

Il determinismo psichico freudiano condanna dunque l’umanità ad un destino implacabile ed inconsapevole, ad un ripetersi di eventi traumatici trasmessi filogeneticamente, ad una condizione che si ripropone identica nelle generazioni che si succedono.